Dalle parole a proposte condivise
|Non era garantita la scommessa di un Seminario sulla Rai nel penultimo lunedì di luglio. Si trattava di superare una doppia provocazione: da un a lato, ancora una volta, un Seminario sulla riforma Rai; dall’altro, come riempire un’aula universitaria con un incontro a fine luglio? La risposta c’è stata: una bella giornata, quella andata in scena alla Sapienza ieri mattina. Un’aula da 200 posti piena per ben oltre la metà del tempo. Una platea divisa miracolosamente tra giovani, studenti, dottorandi e ricercatori e tanti professionisti a vario titolo della comunicazione. Tutto questo sarebbe però ancora poco se si trattasse di un rito e basta. La vera scommessa – quella decisiva – è sul metodo e sui contenuti. Perché impegnare l’Università sulla Pallacorda, intesa come spazio di discussione sul futuro della Rai? Partiamo da questo assunto, stratificando risposte progressive. Perché lo abbiamo sempre fatto, anzitutto, persino in momenti in cui la battaglia delle idee scorreva su una valle radicalmente diversa dal mondo della decisione e dell’intervento. Perché è nel destino dell’Università (tanto più se si chiama Sapienza) e di un Dipartimento di Comunicazione offrirsi come punto di interposizione tra la durezza del fare e la necessità, sempre più aspra al tempo delle tecnologie immediatistiche, di pensare e riflettere sulla propria esperienza. A queste risposte tutt’altro che convenzionali se ne aggiunge ora una che fa venire in mente la metafora biblica della “pienezza dei tempi”. Siamo di fronte ad una politica che sembra finalmente convinta di far seguire alle promesse di cambiamento atti conseguenti e verificabili. Perché non prenderla in parola? Perché domandarsi subito se, un’altra volta ancora, c’è dietro una frustrazione o una fregatura? Chi ce lo fa fare di non verificare quel tagliando di escursione tra le parole e i fatti che può dipendere da ognuno di noi, ma anche dalle nostre Istituzioni, tanto più se molti di noi hanno sempre sperato che una stagione come questa arrivasse? E tanto più se uno dirige un’Istituzione che si chiama Comunicazione e Ricerca Sociale. Mai come oggi le condizioni per un dibattito sulla Rai che verrà sono realistiche e tutt’altro che retoriche. Mai come oggi c’è una concreta possibilità che proposte, idee nuove, dati di ricerca selettivi e non accademici e in una parola un dibattito non di maniera possono fare la differenza. Dove passa questa differenza? Dove sta la pepita d’oro tutt’altro che garantita di questa situazione contingente? Sta nella responsabilità di non lasciare una questione sensibile e centrale come il futuro della Rai nelle sole mani della politica, che tra l’altro, in passato, ha dato ampie prove di scarsa competenza nel capire gli indicatori decisivi della comunicazione e della cultura. A maggior ragione, sarebbe irresponsabile non accompagnare un processo di cambiamento organizzativo e normativo di cui già si intravvedono le avvisaglie, con un impegno di produzione culturale e di alimentazione di dibattito che può fare la differenza. Anche per raccogliere un consenso tanto più prezioso su un tema divisivo come la TV. C’è quanto basta per spiegare le ragioni dell’impegno della Sapienza, ovviamente in nome di un’apertura a tutte le realtà interessate, per alimentare un dibattito che vogliamo sempre più produttivo e selettivo. Sappiamo infatti qual è il rischio dei seminari e dei convegni: quello di enfatizzare le differenze, dare spazio a narcisismi quasi sempre improduttivi, entro una vocazione ad esaurire le proprie energie in una nuvola di parole. Per evitare questo rischio abbiamo immaginato una serie di regole di ingaggio che dovrebbero facilitare la produzione di testi brevi, destinati a valorizzare i punti di maggior consenso in cui riversare una domanda di cambiamento finalmente liberata dagli slogan. Anche la Pallacorda, un nome di cui non possiamo rivendicare neanche la più recente titolarità, è famosa del resto soprattutto per il suo giuramento finale. Provo ora a rispondere alla domanda implicita nella post-produzione del primo Seminario di ieri. Il primo nodo su cui miracolosamente non si sono registrati dissensi è l’urgente necessità di superare la dominazione politica della Rai. Senza se e senza ma. Anche se per molti versi si tratta di un monstrum costruito in buona parte sulle percezioni, ormai è un fatto politico irreversibile la cui soluzione riapre all’innovazione e ad una vera vocazione di servizio. Cambia il mercato, attiva finalmente una concorrenza di sistema e una nuova capacità di competere su tutte le piattaforme. Nel Seminario tutto questo è confluito nel termine, riproposto da un maestro come Angelo Guglielmi, di autonomia. E persino una parola come questa, svilita da abusi e sopravvalutazioni retoriche del passato, davvero può diventare centrale. Il secondo nodo è una radicale volontà di ristrutturazione aziendale e industriale. Qui ovviamente risposte e proposte dovranno essere graduate nel tempo e nel merito, ma non al punto di non assumere che la lotta agli sprechi, alle sovrapposizioni, alle duplicazioni deve essere considerata una priorità condivisa, con un’adeguata attenzione al pluralismo di visioni culturali e agli stili narrativi in competizione. Sono troppi i lacci e lacciuoli costruiti da una tradizione che sa di burocrazia e di passato. Certo, il problema che si apre è quello di individuare per la Rai un centro di gravità di valori, referenti sociali e progetti culturali e comunicativi capaci di sostituire e di implementare, senza scosse, quella dimensione di stabilità oggi ambiguamente occupata dalla politica. Il problema, in altri termini, è quello di interpretare il servizio pubblico rinunciando all’editore di riferimento. E’ qui la sfida. Il terzo elemento del trittico emerso dal dibattito è la garanzia, programmata nel tempo, di risorse finanziarie per l’innovazione che superino l’attuale percezione di iniquità del Canone. Si tratta di ripensare le attuali regole del gioco, anzitutto commisurando l’investimento richiesto alla capacità contributiva, alla soddisfazione di compiti istituzionali (anche in convenzione), e a una diversa stagione di innovazione tecnologica multipiattaforma. Anche su questo le idee non mancano, e il vero lavoro che fa tremare i polsi è quello di mettere in campo una capacità nuova di coltivare un minimo comun denominatore delle proposte che, già di per sè, sia un segno del cambiamento capace di rendere più ricca e feconda la stessa consultazione degli utenti e dei cittadini.
Pubblicato su L’Huffington Post del 23/7/2014
Pallacorda per la Rai è un'iniziativa
del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale
Sapienza Università di Roma